La
mia gioventù raccontata attraverso i mondiali di calcio.
“I Mondiali hanno scandito i tempi della nostra vita, e scandiranno quelli
di chi verrà”
Mi scuserà chi ha usato questa frase in ben altri
contesti ma non posso che non sentirla anche un po’ mia.
Non pretendo che questo breve racconto interessi a
qualcuno, ma spero che magari ci siano appassionati che come me hanno vissuto
storie simili e che magari con un po’ di nostalgia possano guardare indietro e
rivivere ricordi legati indissolubilmente alla manifestazione sportiva per
eccellenza, ossia i campionati del mondo di calcio.
La prima immagine che mi ricordo legata ai Mondiali è
quella di un bambino che non capiva cosa era quella cosa di cui tutti
parlavano; era il 25 giugno 1990, stavo per compiere 4 anni (sono nato il 30
giugno 1986, il giorno dopo la finale mondiali di Messico 86…), e quella sera un intero paese si fermò per Italia Uruguay, ottavo di finale del mondiale organizzato
dal nostro paese.
Vedevo l’eccitazione di
tutti intorno a quel mondiale, in tv, sui giornali, nella miriade di gadgets
che invadevano la mia cameretta, ma quella sera a differenza dei restanti 50
milioni di italiani, io volevo vedere il mio supereroe preferito, Hulk,
nel film che attendevo da mesi ossia, La rivincita dell'incredibile Hulk, ultimo capitolo della fortunata serie
di film per la tv con protagonista il mitico Lou Ferrigno.
Ma per fortuna mio padre mi disse che quella sera
in tv c’era l’Italia e che Hulk avrebbe dovuto attendere; io mi rassegnai ma da
quella sera iniziò la mia storia d’amore con la Nazionale, il calcio e i Mondiali.
La partita onestamente la guardai distrattamente ma
ricordo come fosse ieri l’urlo collettivo al gol di Schillaci; in quel preciso
istante capii che la Nazionale è un fenomeno che unisce tutti, perché chi in un modo chi in un altro, l’amiamo incondizionatamente.
Quel mondiale non finì come tutti speravamo; la
sera della semifinale con l’Argentina ricordo mio padre che da tifoso
atalantino appena vide il gol di Caniggia, ironicamente disse: “non hai
mai fatto un gol di testa, proprio stasera lo dovevi fare?”.
Dopo quel mondiale iniziai a vedere il calcio in
maniera sempre più assidua, sia allo stadio sia alla tv, prendendo sempre più a
cuore i colori nerazzurri dell’Atalanta, e in una famiglia quasi
interamente atalantina non poteva andare diversamente.
Ogni anno che passava domandavo quando si
sarebbero svolti di nuovo i mondiali e la risposta era sempre la stessa “nel
94’ negli Stati Uniti”.
Stampai nella mia mente quell’anno e quel luogo, e
inizia a fantasticare su cosa sarebbe successo.
Credevo addirittura che, non si sa per quale
regola, gli Stati Uniti sarebbero andati in finale in qualità di nazione
ospitante, e ovviamente l’altra finalista sarebbe stata l’Italia...
Appena iniziò la manifestazione, cercai di vedere
più partite possibili; vidi i campioni in carica della Germania faticare contro
la Bolivia vincendo solo 1 a 0 grazie ad un marchiano errore dell’estroso
portiere Carlos Trucco.
Restai folgorato dalla sorprendente Romania di Hagi
e dalla Bulgaria di Stoichkov (mesi dopo a causa sua supplicai per settimane
mio padre di prendere ad ogni costo i biglietti per Atalanta Parma, partita di
apertura della serie A 1995, gara di debutto in gialloblù del calciatore bulgaro
pallone d’oro in carica), trovavo divertentissima la Svezia del “rastafariano”
Henrik Larson e del portiere da quel cognome così italiano, Thomas Ravelli.
Ero affascinato anche dalla diversità della realtà
americana rispetto a quella italiana; allora non esisteva You Tube e la pay tv
era un lusso per pochi; quindi vedere quegli stadi così imponenti e quei tifosi
così variopinti che percepivano lo sport in maniera diversa da quanto visto finora,
per me fu la scoperta di un nuovo mondo, che sembrava così lontano, ma per
quel ragazzino di 8 anni in quell’estate è stato vicino più che mai.

Ovviamente tutta la mia attenzione era per la
Nazionale e per il suo giocatore simbolo, Roberto Baggio.
Ricordo con piacere, nonostante l’epilogo, la sera
della finale contro il Brasile, in cui macinai diversi chilometri facendo la
spola tra casa mia e quella dei miei nonni perché non volevo perdermi nemmeno
un commento del nonno, nè tantomeno volevo perdere quelli dei miei genitori.
Ma le partite che più ricordo con piacere sono
l'ottavo di finale con la Nigeria e il quarto con la Spagna; la prima partita
perché per la prima volta la vidi con persone che non erano dei miei
famigliari; infatti l'oratorio del mio paese organizzò una diretta nella sala
comune per tutti i ragazzi del centro ricreativo estivo, e facendovi parte non
mi feci pregare a restare.
Purtroppo la partita si mise male, i nigeriani vincevano 1 a 0 e dominavano la partita; ad un certo punto vidi mio padre che
mi venne a prendere per riportarmi a casa e mi disse: " anche se ti perdi
qualche minuto, non ti preoccupare perché tanto la perdiamo...".
Una volta arrivato a casa accesi subito la TV; non
volevo credere che sarebbe finita così presto e mentre papá imprecava contro
Sacchi e quella "signorina" di Baggio, proprio il divin codino mandò
la partita ai supplementari con un tiro che sembrava un colpo di biliardo, una
traiettoria che solo un fuoriclasse poteva disegnare.
Il morale era di nuovo alle stelle e quei 30 minuti
dei tempi supplementari sembravano interminabili, fino a quando l'arbitro
"gringo" Brizio Carter, dopo averci espulso Zola per un fallo
inesistente, ci concesse un calcio di rigore, che Baggio trasformò.
Appena vidi il nostro numero 10 andare sul
dischetto, ero sicuro che avrebbe segnato, era troppo facile segnare per uno
come lui...e così fu.
Ci aspettavano i quarti di finale contro la
Spagna...ah si la Spagna...
Da bambino la Spagna era il luogo spesso raccontato
con nostalgia dalla Zia Jose Maria, una
persona speciale, fondamentale nella mia infanzia.
Originaria di Numancia ma cresciuta a Bilbao, mi
fece scoprire l'incredibile storia dell'Athletic, e ovviamente pur
simpatizzando per la Nazionale Italiana, il tifo era tutto per la Roja.
Era un pomeriggio uggioso, caldo e grigio, quasi in
sintonia con le immagini in tv provenienti da Boston.
Durante la partita, tra la gomitata di Tassotti e il gol surreale di Baggio a due minuti dalla fine, successe praticamente di tutto e la vittoria ci spalancò le porte della semifinale contro la Bulgaria.
Durante la partita, tra la gomitata di Tassotti e il gol surreale di Baggio a due minuti dalla fine, successe praticamente di tutto e la vittoria ci spalancò le porte della semifinale contro la Bulgaria.
Ero praticamente certo che avremmo vinto, la
sconfitta non era contemplata, ed è ciò che successe.
Chi se ancora Baggio, con una fantastica doppietta, poteva essere ancora una volta l’uomo della provvidenza?
Chi se ancora Baggio, con una fantastica doppietta, poteva essere ancora una volta l’uomo della provvidenza?
Quella notte scoprii la bellezza dei caroselli, e
mio padre rispolverò un vetusto bandierone tricolore risalente ad un’altra
estate magica, quella del 1982; la città era impazzita, e tra me e me pensai
che avrei voluto vedere i mondiali ogni estate!
La finale come scritto in precedenza fu una
maratona, una guerra di nervi; capii che l'avremmo
persa quando vidi il nostro portiere, Gianluca Pagliuca, baciare il palo dopo
che quel pezzo di legno Losangelino ci salvò da un suo errore su un tiro senza pretese di Romario.
La delusione al rigore di Baggio fu enorme; non
riuscivo a capacitarmi di come fosse stato possibile che il nostro miglior
giocatore abbia potuto spedire la palla alle stelle, dopo che aveva calciato rigori in
modo magistrale contro la Nigeria ed averci spianato la strada per la finale di
Pasadena nella semifinale contro la
Bulgaria.
La scorsa estate andai negli Stari Uniti e quando
arrivai a Los Angeles, la primissima tappa fu proprio il Rose Bowl di Pasadena;
una volta parcheggiata l'auto proprio davanti all'entrata principale, feci due
passi e ripensai a quel 17 luglio 1994, e per qualche minuto
cercai nel parcheggio quel pallone maledetto calciato dal nostro numero 10...
Personalmente considero ancora oggi quel mondiale il
più emozionante, perché ogni sensazione vissuta, ogni giocatore ammirato ed ogni
partita vista rappresentava qualcosa di nuovo e coinvolgente ma provato fino a quel momento.
Passarono altri quattro anni e quel bambino che ormai
era diventato un ragazzino, si apprestava a vivere l’ultimo anno delle
scuole medie.
Prima di quel mondiale venni folgorato da una
trasmissione Rai che mi spalancò un mondo; erano un ciclo di docufilm che
rivivevano tutte le emozioni dei mondiali.
Grazie a questa trasmissione riuscì a rivivere le
gesta di campioni fin lì per me sconosciuti; l’epopea dell’Italia di Pozzo, il
Maracanazo, il miracolo di Berna, l’Olanda del calcio totale di Crujff, la
Bayern Germania, il Brasile del 1970 e la partita del secolo Italia Germania 4
a 3, la notte del Bernabeu di Spagna 82’ e…l’Argentina di Maradona.
Maradona fu una folgorazione; non avevo mai visto
un giocatore simile, sembrava irreale. Quel suo antagonismo contro i potenti e gli oppressori mi colpì subito, la sua vita maledetta e senza limiti non
offuscavano mai ai miei occhi quello che faceva con il pallone tra i piedi, quasi a
voler credere che esistessero due Maradona diversi. E la contemplazione del gol del secolo e
la “Mano de Dios” lo elevarono a mito.
E siamo al 1998; nella mia ingenuità (ma non ero l'unico...) consideravo
l’Italia la favorita, insieme al Brasile.
Devo dire che non sono mai stato un’amante del
calcio carioca; a livello sudamericano sono sempre stato un ammiratore della
scuola argentina e uruguagia, magari anche a causa della ferita della finale del 1994, mai rimarginata del tutto.
Ma la Seleçao del 98’, per la mia generazione era
il Brasile con la B maiuscola.
Come per i nostri genitori era quella del 1970,
quella degli attaccanti reinventati difensori per necessità, quella scandita come una cantilena che univa il sacro
al profano: Everaldo,Piazza,Bito,Carlos Alberto,Gerson,Clodoaldo,Rivelino,Tostao,Jairzinho
e O Rey, Pelè.
Quella del 98’, rischiando la scomunica, posso dire
che a talento, futebol bailado e pazzia, non sfigurava; basta leggere i nomi
dell’11 titolare: Taffarel,Cafu,Aldair,Junior Baiano,César Sampaio,Roberto
Carlos,Leonardo,Dunga,Ronaldo,Rivaldo,Denilson.
Ronaldo in quell'anno era qualcosa di irreale; era
capace di fare uno scatto con il pallone tra i piedi e lasciarsi alle spalle
tutta la difesa avversaria e una volta arrivato davanti al portiere lo
scartava, lo metteva a sedere e insaccava il pallone in rete, il tutto con una
velocità di pensiero e di movimento unica.
Uno dei gol che associo più a quel Ronaldo fu quello segnato in finale di coppa Uefa contro
la Lazio con la maglia dell’Inter, simile per altro a quello che segnò l’anno
prima quando vestiva la maglia del Barcellona contro il Compostela.
La partita più bella dell’Italia fu anche quella
più sfortunata, quella dei quarti di finale contro i padroni di casa della
Francia.
La Nazionale italiana era un bel gruppo, allenato da un vero signore, Cesare Maldini.
Avevamo degli autentici fuoriclasse come Baggio,Del
Piero, Vieri e Inzaghi, ma qualcosa non andò come sperato e le prestazioni
non furono mai esaltanti.
Contro i francesi ce la giocammo alla pari fino al palo di Baggio ai supplementari, che a distanza di 12 anni grida ancora vendetta.
Quel tiro poteva cambiare la storia del mondiale, ma gli dei del calcio avevano già deciso che dovevamo uscire ancora una volta ai calci di rigore.
Quel tiro poteva cambiare la storia del mondiale, ma gli dei del calcio avevano già deciso che dovevamo uscire ancora una volta ai calci di rigore.
Il resto del mondiale proseguì con la speranza che
la cenerentola Croazia potesse eliminare quegli odiosi francesi, e quasi ce la
fecero, capitolando solo 2 a 1 grazie alla doppietta dell’insospettabile
Thuram.
Che squadra però quella Croazia…eliminò la Romania
di Hagi 1 a 0 e umiliarono i campioni d'Europa della Germania con un secco 3 a 0 andando poi vicino al colpaccio con la Francia.
La stella era il
mitico Davor Suker, capocannoniere del torneo, e inoltre c’erano giocatori fantastici come
Bilic,Jarni,Simic,Stimac,Zorro Boban,Solo e Mario Stanic.
I Brasiliani intanto arrivarono in carrozza alla finale, soffrendo solo con una talentuosa Olanda riuscendo a spuntarla solo ai calci di rigore.
La finale era quella sognata dalla Fifa, Francia e
Brasile, Zidane nel ruolo di Napoleone alla conquista della prima coppa del
mondo per i transalpini.
Ma qualcosa di strano successe in quella serata di
luglio; il giocatore più atteso, Ronaldo, sembrava non reggersi in piedi,
barcollava, aveva lo sguardo assente.
Il Brasile praticamente giocò in 10 e la Francia
vinse 3 a 0, nell’apoteosi di un paese che aspettava quel momento da sempre.
Anni dopo la verità venne a galla; Ronaldo la sera
prima della partita ebbe una crisi cardiaca, ma i medici della nazionale
verdeoro curarono il Fenomeno come se fosse in preda ad una crisi epilettica,
con pesanti conseguenze che gli impedirono di essere in forma per la partita
della sera successiva.
Il mondiale successivo fu un mondiale triste,
grigio; sto parlando di quello nippo coreano del 2002.
Quel mondiale rispecchiò la mia vita in quell’anno;
avevo appena trascorso l’anno scolastico più brutto della mia vita, il morale
era veramente basso e se speravo che il sorriso potesse ritornarmi grazie alla
Nazionale mi sbagliavo di grosso.
Le premesse erano più che buone, avevamo i nostri
numeri 10 Del Piero e Totti, forse nel loro miglior periodo di forma.
Avevamo un
Vieri che si poteva tranquillamente considerare il miglior centravanti in
circolazione, avevamo il blocco Juve e Milan.
Ma qualcosa andò storto fin da subito: nel girone faticammo
contro i debuttanti dell’Ecuador e Vieri con una doppietta tolse le castagne
dal fuoco.
Contro la Croazia Olic e Rapajc ribaltarono il gol iniziale di Vieri, condannandoci così alla sconfitta. L’ultima partita fu una sofferenza
e grazie all’aiuto dell’Ecuador che vinse contro la Croazia, ci bastò il
pareggio di Del Piero, dopo che Jered Borgetti aveva portato in vantaggio
meritatamente i messicani.
L’ottavo di finale contro la Corea del Sud fu la
partita della vergogna; l’arbitro Byron Moreno fece quel che tutti sappiano e i
coreani andarono avanti, ripetendo la stessa farsa contro la Spagna e arrivando fino in semifinale dove vennero finalmente
eliminati dalla Germania.
La partita contro i coreani sembrava quasi uno scherzo
e la rabbia per la sconfitta fu molta; l'arbitraggio da galera di Moreno ( in cui alcuni anni dopo ci finì davvero) non cancellò che l’Italia gioco un mondiale anonimo.
Quel mondiale fu vinto giustamente dal Brasile, di
gran lunga la squadra più forte, con Ronaldo che trovò la sua personale
consacrazione dopo la nottataccia di Parigi di quattro anni prima, mettendo a
segno la doppietta decisiva che mise KO la Germania, vincendo oltretutto la
classifica cannonieri.
Onestamente l’esito di quella finale mi mise un po’
di tristezza per un giocatore in particolare, Michael Ballack colonna portante
del Bayer Leverkusen che nel giro di un mese perse Bundesliga all’ultima
giornata, Finale di Coppa di Germania, Finale di Champions League contro il
Real Madrid dei Galacticos e appunto finale del Mondiale.
Uno shock che probabilmente influì sul resto della
sua carriera, trasformandolo in un eterno secondo, disattendendo in parte le
aspettative che c'erano su di lui ad inizio carriera.
Fu anche il mondiale del Senegal di Bruno Metsu,
istrionico allenatore francese da poco scomparso per una terribile malattia,
che portò ad un passo dalla semifinale la squadra africana al suo esordio nel
massimo palcoscenico mondiale.
Le colonne portanti erano il centrocampista
Bouba Diop, che fece una buona carriera tra Premier League e Ligue 1, e
l’attaccante El Hadji Diouf che di lì a pochi mesi passò al Liverpool di Gerard
Houllier, disattendendo però le speranze dei tifosi di Anfield, passando gli anni
successivi girovagando tra Premier League e Championship, non ripetendo quanto mostrato nella rassegna iridata del 2002.
Anche la Turchia dell’imperatore Terim andò molto vicino al colpaccio; dopo aver eliminato negli ottavi i padroni di casa
del Giappone e nei quarti il Senegal, capitolò solamente in semifinale contro
il Brasile, in una partita molto combattuta decisa dall’incredibile gol di
“punta” di Ronaldo.
E veniamo al 2006…ah il 2006, che spettacolo.
Quel mondiale lo vissi in un periodo fantastico,
unico, ovvero durante gli esami di maturità, in un
vortice di emozioni, di paure, di speranze, che si intrecciavano tra di loro.
La vigilia di quel mondiale per la nostra Nazionale
non fu delle migliori, e qui il nome che rimbomba ancora nelle orecchie di
tutti gli appassionati è uno solo: calciopoli.
Ovviamente non starò qui a dilungarmi su questioni, sulle quale si è discusso in abbondanza ma quella
vicende turbò gran parte di quel gruppo, da Buffon a Cannavaro, da Del Piero a Camoranesi.
E ovviamente anche la mia vigilia degli
esami di maturità non fu da meno in quanto a preoccupazioni; i crediti accumulati non erano quelli sperati e l’unico modo per
ottenere l’agoniata maturità era quello di racimolare ottimi voti in tutte le
prove d’esame.
Non so come, ma ero sicuro che l’Italia
avrebbe fatto un grande mondiale.
Lippi in panchina era una sicurezza, Toni era
reduce da una stagione pazzesca alla Fiorentina, Totti e Del Piero non si
discutono, Pirlo,De Rossi, Perrotta e Camoranesi erano il giusto mix di gioventù ed esperienza e la
difesa formata da Cannavaro,Materazzi e Nesta dava la stessa sicurezza dell’Alamo di San
Antonio.
La prima partita fu un dominio e vincemmo 2 a 0
contro un volenteroso Ghana, a detta di tutti la possibile sorpresa di quel
mondiale (avevano sbagliato solo di 4 anni…).
La seconda partita contro gli Usa fu quella della
paura; autogol di Zaccardo e rosso a De Rossi per una gomitata a McBride, ed infine venimmo salvati da un gran gol di Gilardino.
Avevamo trovato il modo di complicarci la vita come
sempre e pertanto eravamo costretti al risultato contro la Repubblica Ceca di
Nedved e di un giocatore che ho sempre adorato, il gigante del BVB Jan Koller,
che purtroppo non giocò a causa di un infortunio. Vincemmo 2 a 0 grazie a
Materazzi ed Inzaghi nel finale.
Intanto il mio esame proseguiva a gonfie vele,
proprio come il cammino degli azzurri.
Nonostante l’ansia e le preoccupazioni
continuavano ad esserci, nell’aria c’era qualcosa di magico.
Non riesco a
spiegarlo, ma ogni giorno anche le cose più banali avevano un sapore diverso, grazie a quel filo di adrenalina continua.
Gli ottavi di finale fu la partita
spartiacque e proprio quel giorno in occasione della tanto temuta terza prova,
dissi al mio Professore di Italiano e Storia che avremmo vinto il mondiale, e
che in semifinale avremmo eliminato i tedeschi. Lui mi guardò come se avessi
detto un’eresia, ma ciò che lo sorprese fu la mia sicurezza, e fu quasi
convinto a sposare la mia tesi.
Sulla panchina dell’Australia sedeva Hiddink, colui
che ci aveva eliminato 4 anni prima nella scandalosa notte coreana, pertanto le
motivazioni erano ancora maggiori e la vendetta venne servita: minuto 91’ rigore
dubbio (diciamo così) per fallo su Grosso, che in quel pomeriggio tedesco, iniziò il suo
personale appuntamento con il destino, e successiva trasformazione di un
glaciale Francesco Totti, part timer di lusso di quella nazionale, ma decisivo. Italia ai quarti, dove ci attendeva l’Ucraina di Shevchenko.
Era il 26 giugno 2006, lo ricordo come fosse ieri.
Lo ricordo per quel 3 a 0 senza se e senza ma, per il grandissimo gol di
Zambrotta e la fantastica prestazione di Luca Toni, ma lo ricordo anche perché
fu il giorno dell’ultima prova di maturità, la mitica prova orale.
Furono entrambi dei successi, e da lì in avanti
vissi in una sorta di perenne entusiasmo che raggiunse i suoi picchi nella notte di
Dortmund e in quella di Berlino.
La semifinale con i tedeschi fu preceduta dalle
solite polemiche dei tedeschi, come al solito specialisti nel tirarsi la zappa sui
piedi, deliziandoci con dichiarazione del tipo: “ Siamo superiori, questa volta vinciamo noi,
gli italiani usano solo il catenaccio, mafia pizza e mandolino ecc…”
Potevano dire tutto quello che volevano ma gli dei
del calcio (si sempre loro…) avevano deciso che in finale ci saremo andati
noi. Prendemmo due pali in quella partita, Buffon fece una parata da antologia
sulla cannonata di Podolski, e poi… arrivo lui, l’uomo del destino, il
giocatore che nessun si aspetta, colui nel quale tutti gli italiani in quel
momento si sono identificati, Fabio Grosso, simbolo di quell’Italia che stringe
i denti e grazie ai sacrifici riesce ad ottenere traguardi insperati.
Il passaggio di Pirlo e il gol di Grosso sono
stampati ancora nella mia memoria; fu una gioia indescrivibile e ad oggi è la
partita che ricordo con più nostalgia ed emozione.
L’urlo proveniente dalle case italiane quella sera
fu ancora più imponente al 2 a 0 di Del Piero, un urlo che stavamo attendendo
da 6 anni, da quella notte maledetta di Eindhoven nella finale europea contro
la Francia.
Ai tedeschi si manifestò nuovamente la loro nemesi,
quell’Italia che da sempre hanno denigrato, sbeffeggiato ma che puntualmente
ogni volta alla fine dei 90 minuti ( e spesso anche 120) li fa piangere e
dubitare su come si fa a vincere nei momenti decisivi.
E siamo arrivati alla finale contro
i francesi, la nostra nemesi, coloro che ci eliminarono dal mondiale del 98' e che
ci soffiarono l’Europeo del 2000, ed esattamente il 9 luglio 2006 alle 2:00 partii
in auto alla volta di Berlino con un mio amico, per vivere quella giornata
storica nel modo più intenso possibile, per colorare di azzurro quella fantastica
città, che ci accolse con grande calore e con la solita e immancabile
organizzazione tipica tedesca.
Arrivammo nella capitale tedesca alle 15 circa e ci
recammo subito nel cuore della festa, ovvero nel lunghissimo viale che
costeggia il Tiergarten e che si conclude alla porta di Brandeburgo.
Lì erano
installati diversi maxi schermi e la folla in festa era davvero imponente; parlai con una quantità inverosimile di persone provenienti da tutto il mondo,
tutti lì per celebrare una festa.
I tedeschi non avevano ancora digerito la sconfitta
contro di noi, però si limitarono a qualche sfotto e ad una pacca sulle spalle.
I sudamericani erano completamente schierati con noi, onestamente i francesi
erano pochi e gli unici che simpatizzavano per loro erano dei tedeschi con il
dente avvelenato.
Il caos al calcio d’inizio era qualcosa di
indicibile; avevo al mio fianco una comitiva di brasiliani che volevano vedere
la Francia (che eliminò i verdeoro tra lo stupore generale) perdere, e che le
uniche parole che sapevano in italiano erano bestemmie, anche abbastanza
colorite …
La partita non iniziò nel modo migliore; rigore più
che dubbio per fallo di Materazzi su Ribery, Zidane dal dischetto, cucchiaio,
traversa, riga e…gol.
Sembrava proprio la serata di Zidane, all’ultima
partita della sua gloriosa carriera.
Ma la Francia non aveva fatto i conti con un altro
azzurro che aveva un appuntamento con il destino, ovvero Marco Materazzi che
con un colpo di testa riportò il punteggio in parità, facendo esplodere il non
distante Olympiastadion e tutta la fan zone allestita nelle vicinanze.
Marco Materazzi fu l’uomo della provvidenza,
guidato dallo spirito della mamma scomparsa da poco, alla quale dedicò quel gol
e la vittoria finale, fu il valore aggiunto di quella squadra, esempio di
dedizione ed impegno.
La partita non fu esaltante e lo spettro dei rigori
si materializzò, facendomi pensare subito al peggio, in quanto la lotteria dei
rigori ai mondiali non ci aveva mai sorriso.
Ma poco prima che i rigori si materializzarono,
successe l’impensabile, la variabile impazzita, il colpo di scena degno di un
film di Hitchkock. Le telecamere indugiarono su Marco Materazzi a terra; in un primo momento tutto il pubblico dello stadio
e anche noi davanti ai maxischermi, pensammo ad una trovata per perdere tempo,
ma appena attorno al capitano francese Zidane si scagliarono Buffon e
Cannavaro, tutto ciò trovò una spiegazione.
Zidane, il giocatore più elegante mai sceso su un
campo di calcio, macchiò la sua incredibile carriera con un gesto così volgare
e infame, che sembrò del tutto irreale. Con una testata colpì Materazzi, dopo che il
Matrix nazionale, secondo la leggenda popolare, insultò la sorella del
giocatore franco algerino.
Il gesto non è giustificabile, il trash talk è
parte (nel bene e nel male) del gioco, e tutto deve finire alla fine dei 90’.
Ma
stavolta Zidane, come se fosse stato trasportato nuovamente nei vicoli popolari
della sua Marsiglia degli anni 80’, la risolse secondo il suo codice, secondo
le sue regole.
Zidane non era nuovo a gesti del genere; basti
pensare alle 3 giornate di squalifica prese a Francia 98 ' per aver letteralmente
calpestato il malcapitato difensore saudita oppure con la maglia della Juve quando
tramortì con una testata un difensore dell’Amburgo in una partita di Champions
League.
La scena di Zidane che esce a testa bassa quasi
sfiorando la Coppa del Mondo, fu la scena simbolo di quella partita, che
anticipava di una ventina di minuti, la sconfitta della Francia.
Ai rigori furono nuovamente decisivi Marco
Materazzi e l’uomo del destino Fabio Grosso che trasformò quello decisivo e in quel momento successe di tutto nelle vie di Berlino; tricolori ovunque,
canti di gioia, gente che offriva da bere a perfetti sconosciuti, perché quella
notte era la nostra notte, la notte di una generazione che dalla Nazionale fino
a quel momento aveva ricevuto cocenti delusione e che guardava con invidia i propri genitori quando parlavano dei Campioni del Mondo del 1982.
Dopo poche ore ripartii alla volta di casa, con ancora in corpo l’adrenalina di quella serata indimenticabile, ripercorrendo minuto per minuto
quella partita, quella giornata in cui la storia venne scritta.
Fu bellissima anche la festa che attendeva gli
azzurri a Roma, dove un milione di persone si riversarono al Circo Massimo per
dare il giusto omaggio ai gladiatori azzurri.
Quasi come fosse uno scherzo beffardo del destino, dopo pochi mesi persi la macchina fotografica nella quale c'erano le foto di quella meravigliosa serata, che resterà per sempre e solo nella mia memoria.
E siamo arrivati alla conclusione di questo cammino lungo 16 anni; non parlo del mondiale 2010 in quanto lo considero il primo dell'età adulta.
Il mondiali Sudafricano dal punto di vista dei risultati fu incommentabile; l'Italia fece il peggior mondiale della sua storia, ma nonostante ciò conservo dei ricordi positivi perchè quelle tre partite le vidi insieme ad una persona speciale, Erika, con la quale sperò di condividere, magari già a partire da questa edizione, ricordi Mondiali che andranno ad aggiungersi a quelli raccontati in queste poche righe, magari troppo nostalgiche, ma certamente sentite.
E siamo arrivati alla conclusione di questo cammino lungo 16 anni; non parlo del mondiale 2010 in quanto lo considero il primo dell'età adulta.
Il mondiali Sudafricano dal punto di vista dei risultati fu incommentabile; l'Italia fece il peggior mondiale della sua storia, ma nonostante ciò conservo dei ricordi positivi perchè quelle tre partite le vidi insieme ad una persona speciale, Erika, con la quale sperò di condividere, magari già a partire da questa edizione, ricordi Mondiali che andranno ad aggiungersi a quelli raccontati in queste poche righe, magari troppo nostalgiche, ma certamente sentite.
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