giovedì 29 maggio 2014

La mia personale storia dei mondiali di calcio


La mia gioventù raccontata attraverso i mondiali di calcio.

“I Mondiali hanno scandito i tempi della nostra vita, e scandiranno quelli di chi verrà

Mi scuserà chi ha usato questa frase in ben altri contesti ma non posso che non sentirla anche un po’ mia.
Non pretendo che questo breve racconto interessi a qualcuno, ma spero che magari ci siano appassionati che come me hanno vissuto storie simili e che magari con un po’ di nostalgia possano guardare indietro e rivivere ricordi legati indissolubilmente alla manifestazione sportiva per eccellenza, ossia i campionati del mondo di calcio.

La prima immagine che mi ricordo legata ai Mondiali è quella di un bambino che non capiva cosa era quella cosa di cui tutti parlavano; era il 25 giugno 1990, stavo per compiere 4 anni (sono nato il 30 giugno 1986, il giorno dopo la finale mondiali di Messico 86…), e quella sera un intero paese si fermò per Italia Uruguay, ottavo di finale del mondiale organizzato dal nostro paese.
Vedevo l’eccitazione di tutti intorno a quel mondiale, in tv, sui giornali, nella miriade di gadgets che invadevano la mia cameretta, ma quella sera a differenza dei restanti 50 milioni di italiani, io volevo vedere il mio supereroe preferito, Hulk, nel film che attendevo da mesi ossia, La rivincita dell'incredibile Hulk, ultimo capitolo della fortunata serie di film per la tv con protagonista il mitico Lou Ferrigno.



Ma per fortuna mio padre mi disse che quella sera in tv c’era l’Italia e che Hulk avrebbe dovuto attendere; io mi rassegnai ma da quella sera iniziò la mia storia d’amore con la Nazionale, il calcio e i Mondiali.
La partita onestamente la guardai distrattamente ma ricordo come fosse ieri l’urlo collettivo al gol di Schillaci; in quel preciso istante capii che la Nazionale è un fenomeno che unisce tutti, perché chi in un modo chi in un altro, l’amiamo incondizionatamente.



Quel mondiale non finì come tutti speravamo; la sera della semifinale con l’Argentina ricordo mio padre che da tifoso atalantino appena vide il gol di Caniggia, ironicamente disse: “non hai mai fatto un gol di testa, proprio stasera lo dovevi fare?”.




Dopo quel mondiale iniziai a vedere il calcio in maniera sempre più assidua, sia allo stadio sia alla tv, prendendo sempre più a cuore i colori nerazzurri dell’Atalanta, e in una famiglia quasi interamente atalantina non poteva andare diversamente.
Ogni anno che passava domandavo quando si sarebbero svolti di nuovo i mondiali e la risposta era sempre la stessa “nel 94’ negli Stati Uniti”. 
Stampai nella mia mente quell’anno e quel luogo, e inizia a fantasticare su cosa sarebbe successo.
Credevo addirittura che, non si sa per quale regola, gli Stati Uniti sarebbero andati in finale in qualità di nazione ospitante, e ovviamente l’altra finalista sarebbe stata l’Italia...

Appena iniziò la manifestazione, cercai di vedere più partite possibili; vidi i campioni in carica della Germania faticare contro la Bolivia vincendo solo 1 a 0 grazie ad un marchiano errore dell’estroso portiere Carlos Trucco.
Restai folgorato dalla sorprendente Romania di Hagi e dalla Bulgaria di Stoichkov (mesi dopo a causa sua supplicai per settimane mio padre di prendere ad ogni costo i biglietti per Atalanta Parma, partita di apertura della serie A 1995, gara di debutto in gialloblù del calciatore bulgaro pallone d’oro in carica), trovavo divertentissima la Svezia del “rastafariano” Henrik Larson e del portiere da quel cognome così italiano, Thomas Ravelli.




Ero affascinato anche dalla diversità della realtà americana rispetto a quella italiana; allora non esisteva You Tube e la pay tv era un lusso per pochi; quindi vedere quegli stadi così imponenti e quei tifosi così variopinti che percepivano lo sport in maniera diversa da quanto visto finora, per me fu la scoperta di un nuovo mondo, che sembrava così lontano, ma per quel ragazzino di 8 anni in quell’estate è stato vicino più che mai.

                                     

Ovviamente tutta la mia attenzione era per la Nazionale e per il suo giocatore simbolo, Roberto Baggio.
Ricordo con piacere, nonostante l’epilogo, la sera della finale contro il Brasile, in cui macinai diversi chilometri facendo la spola tra casa mia e quella dei miei nonni perché non volevo perdermi nemmeno un commento del nonno, nè tantomeno volevo perdere quelli dei miei genitori.
Ma le partite che più ricordo con piacere sono l'ottavo di finale con la Nigeria e il quarto con la Spagna; la prima partita perché per la prima volta la vidi con persone che non erano dei miei famigliari; infatti l'oratorio del mio paese organizzò una diretta nella sala comune per tutti i ragazzi del centro ricreativo estivo, e facendovi parte non mi feci pregare a restare.
Purtroppo la partita si mise male, i nigeriani vincevano 1 a 0 e dominavano la partita; ad un certo punto vidi mio padre che mi venne a prendere per riportarmi a casa e mi disse: " anche se ti perdi qualche minuto, non ti preoccupare perché tanto la perdiamo...".
Una volta arrivato a casa accesi subito la TV; non volevo credere che sarebbe finita così presto e mentre papá imprecava contro Sacchi e quella "signorina" di Baggio, proprio il divin codino mandò la partita ai supplementari con un tiro che sembrava un colpo di biliardo, una traiettoria che solo un fuoriclasse poteva disegnare.




Il morale era di nuovo alle stelle e quei 30 minuti dei tempi supplementari sembravano interminabili, fino a quando l'arbitro "gringo" Brizio Carter, dopo averci espulso Zola per un fallo inesistente, ci concesse un calcio di rigore, che Baggio trasformò.
Appena vidi il nostro numero 10 andare sul dischetto, ero sicuro che avrebbe segnato, era troppo facile segnare per uno come lui...e così fu.

Ci aspettavano i quarti di finale contro la Spagna...ah si la Spagna...
Da bambino la Spagna era il luogo spesso raccontato con nostalgia dalla Zia Jose Maria, una  persona speciale, fondamentale nella mia infanzia.
Originaria di Numancia ma cresciuta a Bilbao, mi fece scoprire l'incredibile storia dell'Athletic, e ovviamente pur simpatizzando per la Nazionale Italiana, il tifo era tutto per la Roja.
Era un pomeriggio uggioso, caldo e grigio, quasi in sintonia con le immagini in tv provenienti da Boston. 
Durante la partita, tra la gomitata di Tassotti e il gol surreale di Baggio a due minuti dalla fine, successe praticamente di tutto e la vittoria ci spalancò le porte della semifinale contro la Bulgaria.



Ero praticamente certo che avremmo vinto, la sconfitta non era contemplata, ed è ciò che successe. 
Chi se ancora Baggio, con una fantastica doppietta, poteva essere ancora una volta l’uomo della provvidenza?
Quella notte scoprii la bellezza dei caroselli, e mio padre rispolverò un vetusto bandierone tricolore risalente ad un’altra estate magica, quella del 1982; la città era impazzita, e tra me e me pensai che avrei voluto vedere i mondiali ogni estate!

La finale come scritto in precedenza fu una maratona, una guerra di nervi; capii che l'avremmo persa quando vidi il nostro portiere, Gianluca Pagliuca, baciare il palo dopo che quel pezzo di legno Losangelino ci salvò da un suo errore su un tiro senza pretese di Romario.




La delusione al rigore di Baggio fu enorme; non riuscivo a capacitarmi di come fosse stato possibile che il nostro miglior giocatore abbia potuto spedire la palla alle stelle, dopo che aveva calciato rigori in modo magistrale contro la Nigeria ed averci spianato la strada per la finale di Pasadena nella semifinale contro la Bulgaria.




La scorsa estate andai negli Stari Uniti e quando arrivai a Los Angeles, la primissima tappa fu proprio il Rose Bowl di Pasadena; una volta parcheggiata l'auto proprio davanti all'entrata principale, feci due passi e ripensai a quel 17 luglio 1994, e per qualche minuto cercai nel parcheggio quel pallone maledetto calciato dal nostro numero 10...




Personalmente considero ancora oggi quel mondiale il più emozionante, perché ogni sensazione vissuta, ogni giocatore ammirato ed ogni partita vista rappresentava qualcosa di nuovo e coinvolgente ma provato fino a quel momento.

Passarono altri quattro anni e quel bambino che ormai era diventato un ragazzino, si apprestava a vivere l’ultimo anno delle scuole medie.
Prima di quel mondiale venni folgorato da una trasmissione Rai che mi spalancò un mondo; erano un ciclo di docufilm che rivivevano tutte le emozioni dei mondiali.
Grazie a questa trasmissione riuscì a rivivere le gesta di campioni fin lì per me sconosciuti; l’epopea dell’Italia di Pozzo, il Maracanazo, il miracolo di Berna, l’Olanda del calcio totale di Crujff, la Bayern Germania, il Brasile del 1970 e la partita del secolo Italia Germania 4 a 3, la notte del Bernabeu di Spagna 82’ e…l’Argentina di Maradona.
Maradona fu una folgorazione; non avevo mai visto un giocatore simile, sembrava irreale. Quel suo antagonismo contro i potenti e gli oppressori mi colpì subito, la sua vita maledetta e senza limiti non offuscavano mai ai miei occhi quello che faceva con il pallone tra i piedi, quasi a voler credere che esistessero due Maradona diversi. E la contemplazione del gol del secolo e la “Mano de Dios” lo elevarono a mito.
E’ senza dubbio il mio giocatore preferito, nessuno sarà mai come lui…el dies.




E siamo al 1998; nella mia ingenuità (ma non ero l'unico...) consideravo l’Italia la favorita, insieme al Brasile.
Devo dire che non sono mai stato un’amante del calcio carioca; a livello sudamericano sono sempre stato un ammiratore della scuola argentina e uruguagia, magari anche a causa della ferita della finale del 1994, mai rimarginata del tutto.
Ma la Seleçao del 98’, per la mia generazione era il Brasile con la B maiuscola.
Come per i nostri genitori era quella del 1970, quella degli attaccanti reinventati difensori per necessità, quella scandita come una cantilena che univa il sacro al profano: Everaldo,Piazza,Bito,Carlos Alberto,Gerson,Clodoaldo,Rivelino,Tostao,Jairzinho e O Rey, Pelè. 
Quella del 98’, rischiando la scomunica, posso dire che a talento, futebol bailado e pazzia, non sfigurava; basta leggere i nomi dell’11 titolare: Taffarel,Cafu,Aldair,Junior Baiano,César Sampaio,Roberto Carlos,Leonardo,Dunga,Ronaldo,Rivaldo,Denilson.




Ronaldo in quell'anno era qualcosa di irreale; era capace di fare uno scatto con il pallone tra i piedi e lasciarsi alle spalle tutta la difesa avversaria e una volta arrivato davanti al portiere lo scartava, lo metteva a sedere e insaccava il pallone in rete, il tutto con una velocità di pensiero e di movimento unica.
Uno dei gol che associo più a quel Ronaldo fu quello segnato in finale di coppa Uefa contro la Lazio con la maglia dell’Inter, simile per altro a quello che segnò l’anno prima quando vestiva la maglia del Barcellona contro il Compostela.





La partita più bella dell’Italia fu anche quella più sfortunata, quella dei quarti di finale contro i padroni di casa della Francia.
La Nazionale italiana era un bel gruppo, allenato da un vero signore, Cesare Maldini.
Avevamo degli autentici fuoriclasse come Baggio,Del Piero, Vieri e Inzaghi, ma qualcosa non andò come sperato e le prestazioni non furono mai esaltanti.
Contro i francesi ce la giocammo alla pari fino al palo di Baggio ai supplementari, che a distanza di 12 anni grida ancora vendetta. 
Quel tiro poteva cambiare la storia del mondiale, ma gli dei del calcio avevano già deciso che dovevamo uscire ancora una volta ai calci di rigore.


Il resto del mondiale proseguì con la speranza che la cenerentola Croazia potesse eliminare quegli odiosi francesi, e quasi ce la fecero, capitolando solo 2 a 1 grazie alla doppietta dell’insospettabile Thuram.
Che squadra però quella Croazia…eliminò la Romania di Hagi 1 a 0 e umiliarono i campioni d'Europa della Germania con un secco 3 a 0 andando poi vicino al colpaccio con la Francia. 
La stella era il mitico Davor Suker, capocannoniere del torneo, e inoltre c’erano giocatori fantastici come Bilic,Jarni,Simic,Stimac,Zorro Boban,Solo e Mario Stanic.


                                

I Brasiliani intanto arrivarono in carrozza alla finale, soffrendo solo con una talentuosa Olanda riuscendo a spuntarla solo ai calci di rigore.
La finale era quella sognata dalla Fifa, Francia e Brasile, Zidane nel ruolo di Napoleone alla conquista della prima coppa del mondo per i transalpini.
Ma qualcosa di strano successe in quella serata di luglio; il giocatore più atteso, Ronaldo, sembrava non reggersi in piedi, barcollava, aveva lo sguardo assente.
Il Brasile praticamente giocò in 10 e la Francia vinse 3 a 0, nell’apoteosi di un paese che aspettava quel momento da sempre.
Anni dopo la verità venne a galla; Ronaldo la sera prima della partita ebbe una crisi cardiaca, ma i medici della nazionale verdeoro curarono il Fenomeno come se fosse in preda ad una crisi epilettica, con pesanti conseguenze che gli impedirono di essere in forma per la partita della sera successiva.


                               

Il mondiale successivo fu un mondiale triste, grigio; sto parlando di quello nippo coreano del 2002.
Quel mondiale rispecchiò la mia vita in quell’anno; avevo appena trascorso l’anno scolastico più brutto della mia vita, il morale era veramente basso e se speravo che il sorriso potesse ritornarmi grazie alla Nazionale mi sbagliavo di grosso.
Le premesse erano più che buone, avevamo i nostri numeri 10 Del Piero e Totti, forse nel loro miglior periodo di forma.
Avevamo un Vieri che si poteva tranquillamente considerare il miglior centravanti in circolazione, avevamo il blocco Juve e Milan.
Ma qualcosa andò storto fin da subito: nel girone faticammo contro i debuttanti dell’Ecuador e Vieri con una doppietta tolse le castagne dal fuoco. 
Contro la Croazia Olic e Rapajc ribaltarono il gol iniziale di Vieri, condannandoci così alla sconfitta. L’ultima partita fu una sofferenza e grazie all’aiuto dell’Ecuador che vinse contro la Croazia, ci bastò il pareggio di Del Piero, dopo che Jered Borgetti aveva portato in vantaggio meritatamente i messicani.


                                     


L’ottavo di finale contro la Corea del Sud fu la partita della vergogna; l’arbitro Byron Moreno fece quel che tutti sappiano e i coreani andarono avanti, ripetendo la stessa farsa contro la Spagna e arrivando fino in semifinale dove vennero finalmente eliminati dalla Germania.
La partita contro i coreani sembrava quasi uno scherzo e la rabbia per la sconfitta fu molta; l'arbitraggio da galera di Moreno ( in cui alcuni anni dopo ci finì davvero) non cancellò che l’Italia gioco un mondiale anonimo.


                                             


Quel mondiale fu vinto giustamente dal Brasile, di gran lunga la squadra più forte, con Ronaldo che trovò la sua personale consacrazione dopo la nottataccia di Parigi di quattro anni prima, mettendo a segno la doppietta decisiva che mise KO la Germania, vincendo oltretutto la classifica cannonieri.


                                    


Onestamente l’esito di quella finale mi mise un po’ di tristezza per un giocatore in particolare, Michael Ballack colonna portante del Bayer Leverkusen che nel giro di un mese perse Bundesliga all’ultima giornata, Finale di Coppa di Germania, Finale di Champions League contro il Real Madrid dei Galacticos e appunto finale del Mondiale.
Uno shock che probabilmente influì sul resto della sua carriera, trasformandolo in un eterno secondo, disattendendo in parte le aspettative che c'erano su di lui ad inizio carriera.


                                                 


Fu anche il mondiale del Senegal di Bruno Metsu, istrionico allenatore francese da poco scomparso per una terribile malattia, che portò ad un passo dalla semifinale la squadra africana al suo esordio nel massimo palcoscenico mondiale. 
Le colonne portanti erano il centrocampista Bouba Diop, che fece una buona carriera tra Premier League e Ligue 1, e l’attaccante El Hadji Diouf che di lì a pochi mesi passò al Liverpool di Gerard Houllier, disattendendo però le speranze dei tifosi di Anfield, passando gli anni successivi girovagando tra Premier League e Championship, non ripetendo quanto mostrato nella rassegna iridata del 2002.


                                


Anche la Turchia dell’imperatore Terim andò molto vicino al colpaccio; dopo aver eliminato negli ottavi i padroni di casa del Giappone e nei quarti il Senegal, capitolò solamente in semifinale contro il Brasile, in una partita molto combattuta decisa dall’incredibile gol di “punta” di Ronaldo.


                                           


E veniamo al 2006…ah il 2006, che spettacolo.
Quel mondiale lo vissi in un periodo fantastico, unico, ovvero durante gli esami di maturità, in un vortice di emozioni, di paure, di speranze, che si intrecciavano tra di loro.
La vigilia di quel mondiale per la nostra Nazionale non fu delle migliori, e qui il nome che rimbomba ancora nelle orecchie di tutti gli appassionati è uno solo: calciopoli.
Ovviamente non starò qui a dilungarmi su questioni, sulle quale si è discusso in abbondanza ma quella vicende turbò gran parte di quel gruppo, da Buffon a Cannavaro, da Del Piero a Camoranesi.

E ovviamente anche la mia vigilia degli esami di maturità non fu da meno in quanto a preoccupazioni; i crediti accumulati non erano quelli sperati e l’unico modo per ottenere l’agoniata maturità era quello di racimolare ottimi voti in tutte le prove d’esame.

Non so come, ma ero sicuro che l’Italia avrebbe fatto un grande mondiale. 
Lippi in panchina era una sicurezza, Toni era reduce da una stagione pazzesca alla Fiorentina, Totti e Del Piero non si discutono, Pirlo,De Rossi, Perrotta e Camoranesi erano il giusto mix di gioventù ed esperienza e la difesa formata da Cannavaro,Materazzi e Nesta dava la stessa sicurezza dell’Alamo di San Antonio.

La prima partita fu un dominio e vincemmo 2 a 0 contro un volenteroso Ghana, a detta di tutti la possibile sorpresa di quel mondiale (avevano sbagliato solo di 4 anni…).
La seconda partita contro gli Usa fu quella della paura; autogol di Zaccardo e rosso a De Rossi per una gomitata a McBride, ed infine venimmo salvati da un gran gol di Gilardino.
Avevamo trovato il modo di complicarci la vita come sempre e pertanto eravamo costretti al risultato contro la Repubblica Ceca di Nedved e di un giocatore che ho sempre adorato, il gigante del BVB Jan Koller, che purtroppo non giocò a causa di un infortunio. Vincemmo 2 a 0 grazie a Materazzi ed Inzaghi nel finale.



                                                         



Intanto il mio esame proseguiva a gonfie vele, proprio come il cammino degli azzurri.
Nonostante l’ansia e le preoccupazioni continuavano ad esserci, nell’aria c’era qualcosa di magico. 
Non riesco a spiegarlo, ma ogni giorno anche le cose più banali avevano un sapore diverso, grazie a quel filo di adrenalina continua.
Gli ottavi di finale fu la partita spartiacque e proprio quel giorno in occasione della tanto temuta terza prova, dissi al mio Professore di Italiano e Storia che avremmo vinto il mondiale, e che in semifinale avremmo eliminato i tedeschi. Lui mi guardò come se avessi detto un’eresia, ma ciò che lo sorprese fu la mia sicurezza, e fu quasi convinto a sposare la mia tesi.
Sulla panchina dell’Australia sedeva Hiddink, colui che ci aveva eliminato 4 anni prima nella scandalosa notte coreana, pertanto le motivazioni erano ancora maggiori e la vendetta venne servita: minuto 91’ rigore dubbio (diciamo così) per fallo su Grosso, che in quel pomeriggio tedesco, iniziò il suo personale appuntamento con il destino, e successiva trasformazione di un glaciale Francesco Totti, part timer di lusso di quella nazionale, ma decisivo. Italia ai quarti, dove ci attendeva l’Ucraina di Shevchenko.


                                           



                                           


Era il 26 giugno 2006, lo ricordo come fosse ieri. Lo ricordo per quel 3 a 0 senza se e senza ma, per il grandissimo gol di Zambrotta e la fantastica prestazione di Luca Toni, ma lo ricordo anche perché fu il giorno dell’ultima prova di maturità, la mitica prova orale.
Furono entrambi dei successi, e da lì in avanti vissi in una sorta di perenne entusiasmo che raggiunse i suoi picchi nella notte di Dortmund e in quella di Berlino.
La semifinale con i tedeschi fu preceduta dalle solite polemiche dei tedeschi, come al solito specialisti nel tirarsi la zappa sui piedi, deliziandoci con dichiarazione del tipo: “ Siamo superiori, questa volta vinciamo noi, gli italiani usano solo il catenaccio, mafia pizza e mandolino ecc…”


                                        


                                                                


Potevano dire tutto quello che volevano ma gli dei del calcio (si sempre loro…) avevano deciso che in finale ci saremo andati noi. Prendemmo due pali in quella partita, Buffon fece una parata da antologia sulla cannonata di Podolski, e poi… arrivo lui, l’uomo del destino, il giocatore che nessun si aspetta, colui nel quale tutti gli italiani in quel momento si sono identificati, Fabio Grosso, simbolo di quell’Italia che stringe i denti e grazie ai sacrifici riesce ad ottenere traguardi insperati.
Il passaggio di Pirlo e il gol di Grosso sono stampati ancora nella mia memoria; fu una gioia indescrivibile e ad oggi è la partita che ricordo con più nostalgia ed emozione.


                                           


L’urlo proveniente dalle case italiane quella sera fu ancora più imponente al 2 a 0 di Del Piero, un urlo che stavamo attendendo da 6 anni, da quella notte maledetta di Eindhoven nella finale europea contro la Francia.


                                           


Ai tedeschi si manifestò nuovamente la loro nemesi, quell’Italia che da sempre hanno denigrato, sbeffeggiato ma che puntualmente ogni volta alla fine dei 90 minuti ( e spesso anche 120) li fa piangere e dubitare su come si fa a vincere nei momenti decisivi.


                                            


E siamo arrivati alla finale contro i francesi, la nostra nemesi, coloro che ci eliminarono dal mondiale del 98' e che ci soffiarono l’Europeo del 2000, ed esattamente il 9 luglio 2006 alle 2:00 partii in auto alla volta di Berlino con un mio amico, per vivere quella giornata storica nel modo più intenso possibile, per colorare di azzurro quella fantastica città, che ci accolse con grande calore e con la solita e immancabile organizzazione tipica tedesca.

Arrivammo nella capitale tedesca alle 15 circa e ci recammo subito nel cuore della festa, ovvero nel lunghissimo viale che costeggia il Tiergarten e che si conclude alla porta di Brandeburgo. 
Lì erano installati diversi maxi schermi e la folla in festa era davvero imponente; parlai con una quantità inverosimile di persone provenienti da tutto il mondo, tutti lì per celebrare una festa.
I tedeschi non avevano ancora digerito la sconfitta contro di noi, però si limitarono a qualche sfotto e ad una pacca sulle spalle. 
I sudamericani erano completamente schierati con noi, onestamente i francesi erano pochi e gli unici che simpatizzavano per loro erano dei tedeschi con il dente avvelenato.
Il caos al calcio d’inizio era qualcosa di indicibile; avevo al mio fianco una comitiva di brasiliani che volevano vedere la Francia (che eliminò i verdeoro tra lo stupore generale) perdere, e che le uniche parole che sapevano in italiano erano bestemmie, anche abbastanza colorite …

La partita non iniziò nel modo migliore; rigore più che dubbio per fallo di Materazzi su Ribery, Zidane dal dischetto, cucchiaio, traversa, riga e…gol.
Sembrava proprio la serata di Zidane, all’ultima partita della sua gloriosa carriera.


                                      


Ma la Francia non aveva fatto i conti con un altro azzurro che aveva un appuntamento con il destino, ovvero Marco Materazzi che con un colpo di testa riportò il punteggio in parità, facendo esplodere il non distante Olympiastadion e tutta la fan zone allestita nelle vicinanze.
Marco Materazzi fu l’uomo della provvidenza, guidato dallo spirito della mamma scomparsa da poco, alla quale dedicò quel gol e la vittoria finale, fu il valore aggiunto di quella squadra, esempio di dedizione ed impegno.


                                                    

La partita non fu esaltante e lo spettro dei rigori si materializzò, facendomi pensare subito al peggio, in quanto la lotteria dei rigori ai mondiali non ci aveva mai sorriso.
Ma poco prima che i rigori si materializzarono, successe l’impensabile, la variabile impazzita, il colpo di scena degno di un film di Hitchkock. Le telecamere indugiarono su Marco Materazzi a terra; in un primo momento tutto il pubblico dello stadio e anche noi davanti ai maxischermi, pensammo ad una trovata per perdere tempo, ma appena attorno al capitano francese Zidane si scagliarono Buffon e Cannavaro, tutto ciò trovò una spiegazione.
Zidane, il giocatore più elegante mai sceso su un campo di calcio, macchiò la sua incredibile carriera con un gesto così volgare e infame, che sembrò del tutto irreale. Con una testata colpì Materazzi, dopo che il Matrix nazionale, secondo la leggenda popolare, insultò la sorella del giocatore franco algerino.


                                                  


Il gesto non è giustificabile, il trash talk è parte (nel bene e nel male) del gioco, e tutto deve finire alla fine dei 90’. 
Ma stavolta Zidane, come se fosse stato trasportato nuovamente nei vicoli popolari della sua Marsiglia degli anni 80’, la risolse secondo il suo codice, secondo le sue regole.
Zidane non era nuovo a gesti del genere; basti pensare alle 3 giornate di squalifica prese a Francia 98 ' per aver letteralmente calpestato il malcapitato difensore saudita oppure con la maglia della Juve quando tramortì con una testata un difensore dell’Amburgo in una partita di Champions League.
La scena di Zidane che esce a testa bassa quasi sfiorando la Coppa del Mondo, fu la scena simbolo di quella partita, che anticipava di una ventina di minuti, la sconfitta della Francia.




Ai rigori furono nuovamente decisivi Marco Materazzi e l’uomo del destino Fabio Grosso che trasformò quello decisivo e in quel momento successe di tutto nelle vie di Berlino; tricolori ovunque, canti di gioia, gente che offriva da bere a perfetti sconosciuti, perché quella notte era la nostra notte, la notte di una generazione che dalla Nazionale fino a quel momento aveva ricevuto cocenti delusione e che guardava con invidia i propri genitori quando parlavano dei Campioni del Mondo del 1982.


                                             



                                              


Dopo poche ore ripartii alla volta di casa, con ancora in corpo l’adrenalina di quella serata indimenticabile, ripercorrendo minuto per minuto quella partita, quella giornata in cui la storia venne scritta.
Fu bellissima anche la festa che attendeva gli azzurri a Roma, dove un milione di persone si riversarono al Circo Massimo per dare il giusto omaggio ai gladiatori azzurri.


                                              


Quasi come fosse uno scherzo beffardo del destino, dopo pochi mesi persi la macchina fotografica nella quale c'erano le foto di quella meravigliosa serata, che resterà per sempre e solo nella mia memoria.

E siamo arrivati alla conclusione di questo cammino lungo 16 anni; non parlo del mondiale 2010 in quanto lo considero il primo dell'età adulta.
Il mondiali Sudafricano dal punto di vista dei risultati fu incommentabile; l'Italia fece il peggior mondiale della sua storia, ma nonostante ciò conservo dei ricordi positivi perchè quelle tre partite le vidi insieme ad una persona speciale, Erika, con la quale sperò di condividere, magari già a partire da questa edizione, ricordi Mondiali che andranno ad aggiungersi a quelli raccontati in queste poche righe, magari troppo nostalgiche, ma certamente sentite.



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